Pesto, una salsa leggendaria

(A.Barbieri – La Macchina del Gusto, 25/06/20) – Il pesto, così come molte delle ricette italiane più famose, pare sia nato per caso. Sul suo conto esistono molte storie, ma una in particolare ci ha colpito. Tra mulini, invidie e tornei cavallereschi, torniamo nella Liguria del 1579.
Quando si dice Italia si dice storia, anche in cucina. Non c’è regione del nostro Paese che non esprima almeno una ricetta nata secoli addietro che la contraddistingua da tutte le altre. Ricette sulle quali sono nati racconti e aneddoti, talvolta veri, altre volte fiabeschi. È il caso, quest’ultimo, del pesto genovese, del quale peraltro nessuno conosce le vere origini.

C’è chi lo fa risalire al moretum romano, una salsa a base di aglio ed erbe aromatiche e chi all’opera di un frate del convento intitolato a San Basilio, sulle alture di Genova. A noi piace molto di più la fiaba scritta da Angelo Cacciola Donati, indipendentemente dal fatto che sia totalmente inventata o che abbia qualche fondamento di verità.

La leggenda del pesto genovese
C’era una volta il pesto genovese, o meglio il pesto di Prà. Perché è proprio lì che tutto avrebbe avuto inizio nel lontano 1579. La storia scritta da Angelo Cacciola Donati ci porta nella casa di un mugnaio, tale Samuele, che viveva con la moglie e due figli, Biagio e Clara. Come tutti i bambini, anche i due giovani pensavano a divertirsi. Un giorno, la madre preparò per loro una merenda con pane e pecorino. Recatisi al mulino del padre per consumarla, si misero a giocare ai marinai. Come? Semplice, per fare il mare riempirono una bacinella con dell’olio, usarono foglie di prezzemolo come barchette, pecorino come carico e pinoli come marinai.

Tra una risata e uno spintone, i due riuscirono a far cadere nell’olio un intero sacco di farina. Impauriti, Biagio e Clara rimisero tutto dentro al sacco nella speranza di passarla liscia con il padre. Samuele, il papà, che non era un fulmine di guerra, quella sera complice la stanchezza, il buio “pesto” e la sua sbadataggine, finì per preparare gli gnocchi per il giorno seguente proprio con la farina pasticciata. Per pranzo sarebbero arrivati numerosi parenti e la moglie voleva fare bella figura. Samuele ce la mise tutta e alla fine, soddisfatto del lavoro svolto, si levò il grembiule e tutto infarinato se ne andò a dormire.

Gnocchi colorati
La mattina seguente, il mugnaio, fu svegliato dalle grida della moglie. Aveva scoperto gli gnocchi verdi! Assaggiarono uno gnocco e, trovandolo gradevole, decisero di rischiare, tanto più che non si poteva più rimediare. Gli gnocchi verdi ebbero un successo strepitoso, tanto che il mugnaio, scoperti tutti gli ingredienti con l’aiuto dei figli, ricreò la deliziosa crema verde scrivendo la ricetta su una vecchia pergamena. Era nato il pesto di Prà che tutti assaggiavano alla locanda aperta da Samuele, ma del quale nessuno conosceva la ricetta. Tranne lui, ovviamente.

Storia finita? Tutt’altro. Il successo del mugnaio durò poco. Già, perché la ricetta del pesto che lui teneva gelosamente nascosta, faceva gola a molti. Anche alle famiglie nobili dei Fieschi e degli Spinola che da secoli se le davano di santa ragione su tutti i fronti, anche quello gastronomico. Il racconto vuole che i Fieschi rubarono la ricetta al mugnaio e che iniziarono a organizzare feste, ovviamente a base di pesto. La qual cosa mandò su tutte le furie i rivali di sempre, gli Spinola. Questi ultimi, senza pensarci due volte mossero guerra contro i Fieschi.

Il torneo
I saggi delle due parti convinsero i nobili ad incontrarsi per porre fine alla scellerata, quanto inutile guerra. Si sarebbe risolto tutto con un torneo: il vincitore avrebbe ottenuto la ricetta senza copie. Un torneo per una ricetta? No, non scherziamo, in palio c’era anche la mano della nipote dello Spinola, la noiosa Adalgisa, accompagnata da una consistente dote, così se la sarebbe tolta dai piedi per sempre.

Al Grande Torneo dello Scrivia, che si sarebbe celebrato nella piana di Casella, parteciparono in molti, compreso un cavaliere con il viso celato. Gara dopo gara, il misterioso contendente sbaragliò tutti gli avversari, compresi i più valorosi uomini delle due litigiose casate. Al vincitore spettava il premio. Il cavaliere si tolse il pesante elmo e… magia! Al posto del volto fiero di un aitante giovane spuntò il dolce viso di una bellissima ragazza. Era Clara, la figlia del mugnaio di Prà che era tornata a riprendersi ciò che apparteneva al padre. Ma come direte voi, ma se era appena bambina? Sì certo, ma siamo in una leggenda. La giovane, tempo addietro, intristita per la situazione difficile del padre, invocò l’aiuto alle stelle. Detto fatto. Quella notte le apparse la fatina del basilico che le raccontò cosa sarebbe successo e cosa avrebbe dovuto fare. La fatina fece un incantesimo che trasformò Clara nel cavaliere che avrebbe poi vinto il Torneo. Tra lo stupore di tutti Clara ritirò il premio, pergamena e soldi, ma non la noiosa Adalgisa, e tornò a casa. Durante il tragitto rivide la fatina del basilico che la fece ritornare bambina poco prima di incontrare la madre alla quale consegnò il sacchetto pieno di monete e la ricetta. Il mugnaio poté così ricostruire la locanda andata in fumo durante il furto delle pergamena e pensò bene di divulgare la ricetta a tutti.

La ricetta vera
Per la ricetta vera, occorrerà attendere il XIX secolo. Già perché la prima ricetta del pesto alla genovese viene fatta risalire all’Ottocento, più precisamente la si trova sulla Vera Cuciniera Genovese di Emanuele Rossi (1852), denominata come Pesto d’Aglio e Basilico.

Il pesto genovese è un PAT (Prodotto Agroalimentari tradizionale) della Liguria e, come da tradizione, deve essere preparato e lavorato con mortaio in marmo e pestello in legno. Gli ingredienti sono sette: l’aglio, l’olio extravergine di oliva, il parmigiano, il pecorino sardo, i pinoli, un pizzico di sale grosso e il basilico.

Proprio quest’ultimo, che ha ottenuto la certificazione d’origine protetta nel 2004, è un altro prodotto importante per la cucina regionale. Arrivato addirittura dalla lontana Asia molti secoli fa, solo sulle colline liguri ha trovato quelle qualità organolettiche che lo rendono unico. Insieme alle altre erbe aromatiche che la Liguria può vantare, come la borragine o il timo, il basilico è un elemento immancabile nelle cucine dei liguri.

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